martedì 20 dicembre 2011

CAFFÈ A RAPALLO

Natale nel tepidario
lustrante, truccato dai fumi
che svolgono tazze, velato
tremore di lumi oltre i chiusi
cristalli, profili di femmine
nel grigio, tra lampi di gemme
e screzi di sete...
Son giunte
a queste native tue spiagge,
le nuove Sirene!; e qui manchi
Camillo, amico, tu storico
di cupidige e di brividi.

S'ode grande frastuono nella via.

È passata di fuori
l'indicibile musica
delle trombe di lama
e dei piattini arguti dei fanciulli:
è passata la musica innocente.

Un mondo gnomo ne andava
con strepere di muletti e di carriole,
tra un lagno di montoni
di cartapesta e un bagliare
di sciabole fasciate di stagnole.
Passarono i Generali
con le feluche di cartone
e impugnavano aste di torroni;
poi furono i gregari
con moccoli e lampioni,
e le tinnanti scatole
ch'ànno il suono più trito,
tenue rivo che incanta
l'animo dubitoso:
(meraviglioso udivo).

L'orda passò col rumore
d'una zampante greggia
che il tuono recente impaura.
L'accolse la pastura
che per noi più non verdeggia.

di Eugenio Montale


Tanti auguri dalla redazione del blog!

Una storia divertente

Era l’anno 1896. In quel periodo si assisteva al progresso e al benessere. Era la cosìddetta Belle Epoque. Si costruivano nuove industrie e nuove invenzioni tecnologiche, le prime automobili, nascevano in quell’epoca, come la Peugeot che da poco aveva comprato il conte d’Ostregatti.

Il 16 dicembre di quell’anno volle subito provare a farci un giro. Le strade erano ghiacciate e piene di neve, nevicava ancora, quindi era pericoloso girare in macchina con quel tempo, ma il conte d’Ostregatti si stava recando con i suoi tre nipoti Louis, Riccardo e Georgette al Palaghiaccio per pattinare. Louis che era impaziente gridò allo zio:

- Presto sbrigati che è già buio e le strade sono ghiacciate.

Il conte un po’ arrabbiato: - Lo farei se questa carretta andasse a più di 30 all’ora!.

In quel mentre cadeva un sacco di neve e non si vedeva niente. La povera Georgette aveva tirato fuori il suo ombrellino da sole,lasciato precedentemente nell'auto, per ripararsi dalla neve e il conte che non aveva gli occhiali non vedeva nulla; dubito che avrebbe visto qualcosa dato che nevicava a dirotto. A quel punto sterzò così bruscamente l’automobile che tutti furono catapultati in avanti. Il conte perse il controllo della macchina che girò su se stessa e finì fuori strada per un sentiero ricoperto ancor più di neve, tortuoso, pieno di ostacoli come alberi e sassi. Intanto il conte era sbalzato per metà sul cofano dell’auto e veniva schiaffeggiato dalle punte dei pini e dalle piante più basse. Il suo nobile sedere veniva preso a ombrellate da Georgette, alla quale nell’urto era caduto il cappellino. Con boccoli e piume davanti lei non vedeva più niente. Tra un’ ahia del conte e lo sballottamento degli altri all’improvviso pian piano si vide comparire una luce.

Il primo ad accorgersene fu il conte che mezzo stordito dalle frustate che riceveva davanti e dietro gli sembrò di sognare, e disse:

- Ma cos… - e fu interrotto subito da Louis e Riccardo - Ma che cosa… - Intanto Georgette che si era sistemata il cappello e aveva smesso di sculacciare lo zio, disorientata si guardò intorno mentre le luci apparivano più nitide e gridò

- Ah!... il Palaghiaccio.

In quel momento la macchina poco distante da una piccola rupe che si affacciava sul Palaghiaccio urtò contro un sasso bello grande che sembrava posizionato lì apposta per loro. Subito l’automobile si alzò e fece un volo di tre metri. Tutti gridarono nello stesso istante. L’automobile infranse uno dei grandi vetri del primo piano. Intanto l’ombrello di Georgette si era aperto e l’aveva protetta dai pezzi di vetro andati in frantumi. L’auto atterrò nella galleria e andando avanti ruppe la ringhiera di sostegno. Proprio di sotto al pianoterra c’era il caffè del Palaghiaccio che dava sulla pista e due signori stavano conversando.

- Allora signor MacGregor le do un milione di dollari per la sua miniera d’argento in Kenya.

- Niente da fare signor Bruschino - rispose MacGregor - la mia miniera vale molto di più.

- Ma la mia somma di denaro è molto grande deve pur accettare.

- Accetterò solo quando vedrò un’automobile cadere dal cielo.

Subito in quel momento la Peugeot del conte d’Ostregatti atterrò sulla pista da ghiaccio. I due gentiluomini nel caffè si girarono e guardarono stupiti verso la pista. Ormai tutti guardavano cosa stava succedendo. Anche un cameriere che passava di lì, e distratto inciampò e il vassoio d’argento che teneva in mano volò via. Il contenuto delle bevande che c’erano finì su due vistose dame dell’alta borghesia, le quali indossavano vestiti coloratissimi, fatti con tessuti preziosi. Non potete immaginare cosa ne venne fuori appena le bevande si furono mischiate ai coloratissimi tessuti degli abiti: le dame sembravano due arlecchini fuori stagione. Intanto la Peugeot slittava senza controllo investendo chiunque si trovasse in pista. Le persone terrorizzate cercando di scappare tra capitomboli e scivolando gridavano: - Ma che fa quello - oppure - È impazzito!

Il conte disperato cercava di fermare la macchina mentre Louis gli gridava:

- Ma cosa fai? Attento!! Fermati!.

A peggiorare la situazione fu Georgette che per sbaglio con l’ombrellino ancora aperto, lo mise in testa allo zio e si chiuse di scatto. Il conte dimenandosi sembrava uno spaventapasseri, e non vedeva nulla. Louis cercava di lato di prendere il volante. Riccardo era riuscito a liberare lo zio dall’ombrello che restituì a Georgette, appena in tempo perché l’auto stava per sbattere su una colonna, il conte frenando e sterzando allo stesso tempo riuscì a deviarla. Frattanto una donna si era appesa dietro la macchina mentre cercava di scappare, ed era da un po’ che stava agganciata dietro l’automobile.

Se ne accorse Georgette che prese a ombrellate le mani della signora dicendo: - Togli le mani da lì.

La poveretta lasciò la presa e volò verso un gruppo di persone che erano rimaste sulla pista e tutti finirono nel caffè facendo cadere tavoli e persone. Il conte più disperato che mai si sentiva gridare da Louis:

- Fermati! Ma cosa fai? Nooo lì!

Ormai non ne poteva più e ribattè:

- Ci sto provandooo!!!

A quel punto il volante si staccò e restò nelle mani del conte il quale rimasto a bocca aperta non sapeva cosa fare. Gli altri tre se ne accorsero e gridarono a squarciagola. Le poche persone rimaste nella pista o nel cafè guardavano scioccate lo strano spettacolo. Riccardo fuori di sé prese lo spingardino caricato a sale che si trovava nella macchina e cercò di sparare alle ruote per fermare l’auto ormai impazzita. Ma Riccardo sballottato dalla macchina sparò davanti a sé e andò a beccare al di là della ringhiera che circondava la pista Madam Piccion (così denominata per i grandi cappelli che portava, con tante piume e uccelli impagliati o finti. Il cappello era sempre in tinta con qualsiasi vestito portasse. Lei veniva anche chiamata “struzzo”).

Quel giorno indossava un vestito turchese con cappello dello stesso colore che aveva piume da tutti i lati e al centro un maestoso uccello azzurro e bianco con le ali socchiuse e una leggera cresta sulla testa che sembrava un’onda marina. Tornando a noi il cappello della poverina venne impallinato e ci fu uno spruzzo di pennacchi azzurro-turchini che cadevano con grazia e si posavano a terra. Per quanto riguarda il maestoso pennuto non fu più né maestoso né pennuto, infatti si inclinò sul cappello poi cadde e si spezzò.

Naturalmente la donna prese un colpo, svenne, e cadde su un tavolo che si ribaltò. Intanto la macchina stava girando su se stessa nel mezzo della pista. Le ruote facevano scintille roventi sul ghiaccio, roba da appiccare un incendio. Una delle ruote si staccò e sfrecciò sul ghiaccio provocando una striscia di fuoco per poi finire contro una colonna. Ormai la macchina stava rallentando e ai quattro che erano a bordo veniva da vomitare.

La povera Peugeot del conte d’ Ostregatti era ormai a pezzi, dal cofano dell’auto usciva fumo, e sembrava quasi che sbuffasse, il volante si era staccato e una ruota anche. Comunque l’automobile fece un ultimo lento giro su se stessa e si fermò. Le persone che si erano nascoste sotto i tavoli o dietro le colonne del Palaghiaccio si alzarono pian piano. Poi un’altra ruota dell’auto mezza sfasciata aveva ceduto e i quattro caddero uno sopra l’altro sul ghiaccio diventato ormai caldo dalle scintille prodotte dalle ruote della macchina. Intanto arrivò anche la polizia chiamata dal padrone del Palaghiaccio avvisato dal gestore del caffè che era lì. Il povero conte oltre ad essersi quasi rotto la schiena nella caduta dovette pagare una multa così salata per i danni fatti al Palaghiaccio e alle persone dalla macchina impazzita che ci volle un barile di sali per farlo rinvenire.

Invece i suoi nipoti ogni volta che pensavano a cosa era accaduto si mettevano a ridere a crepapelle e se il conte li sentiva gli tirava addosso una scarpa. Intanto il nobiluomo da quel momento odiò le macchine e andò sempre in carrozza. Infatti di solito lo si sentiva dire:

- Ascoltatemi, io preferisco andare in carrozza, è meno rischioso che andare in una di quelle automobili. Secondo me è solo una moda passeggera. Le macchine avranno vita breve, ve lo dico io, prima o poi leveranno di mezzo quei catorci e per le strade non se ne vedrà più neanche uno di quegli aggeggi infernali.

E i suoi nipoti o altri gli rispondevano:

- Vedremo zio. Vedremo!!!.


Fabio Barnava